Vi riportiamo, a mò di esempio, gli esercizi del workshop Esercizi di scrittura, svolti dalla nostra docente Barbara Buoso, che attende i vostri.
Vi chiediamo gentilmente di seguire le indicazioni fornite nel precedente post, per inviarci le vostre esercitazioni.
1.Esercizio in 10 minuti –SAPER VEDERE, SAPER SENTIRE
8:13 – 8:23
— Caterina — la voce della donna si alzava in mezzo al campo di stoppie nere del campo di granoturco che fumava ancora come se fosse appena stato cosparso di letame — chi a sfondrada de to mama ca so mi — Caterina — la donna era un puntino indistinto vicino alla casa lontana.
A Caterina piaceva andar per campi sul finire della giornata, ora poi che giornate di fine settembre smorzano le luci prima e gli odori dei campi salivano dalla terra fino a entrarti nelle narici, ora una esalazione dei grappoli d’uva caduti durante la vendemmia e che lentamente marcivano, tornando alla terra; ora un miasma dei brandelli di barbabietole in stato di decomposizione rimasti sui camp; ora un aroma dolce proveniente da qualche casolare dove c’era la luce e si potevano immaginare dei bambini attorno a un paiolo di rame col culo nero di anni di momenti felici che bisticciavano per menare i sugoli che sarebbero durati tutto l’inverno.
— Caterina — la voce intimò al rientro — vieni casa, dài, xe scuro.
2. Esercizio di 10 minuti – SAPER TROVARE LE PAROLE
8.25 – 8.35
Il mio cuore è la Ford Taunus verde dove, con mia cugina e mio fratello, nelle sere d’estate, dopo mangiato, salivamo per andare al cao di là, per mangiare l’uva da tavola come merli dispettosi.
Il mio cuore è la porta tagliafuoco che chiude la cabina cinema dove lavoravo preservando il calore della macchina che si metteva in movimento e a un certo punto faceva partire il fascio di luce colpendo la cellulosa.
Il mio cuore è il fienile raggiungibile con la scala a pioli appoggiata al muro, dove trovavo i gattini delle gatte che spaventavo per fargli cambiare posto e non farli trovare da mio zio che li uccideva, c’erano gatti ovunque.
Il mio cuore è l’acqua che mi bagnava gli occhi quando mollavano le campane il sabato santo.
3. Esercizio di 10 minuti – SAPER DESCRIVERE– I COLORI
I tuoi occhi hanno il colore delle bottiglie che lavavo quando era piccola e mettevo col culo su per farle gocciolare aspettando che mio zio travasasse il vino;
I tuoi occhi sono come l’aroma delle botti che usciva quando era passato il tempo giusto per aver il vino nuovo, sono quel giramento di testa che mi prendeva il naso e me lo faceva grattare come un gatto che è stato punto da una spiga;
i tuoi occhi sono come la neve quando è cominciata a scendere la sera prima e non ha smesso fino all’alba, è il mio naso che sente in camera senza riscaldamento l’odore del giacchio fuori, sono i miei piedi che si infilano in calze di lana con la punta rifatta di un altro colore da mia nonna e corrono fuori quando tutto è ancora pulito e senza rumori;
I tuoi occhi sono le estati quando vuoi che arrivino per stare assieme, di più;
I tuoi occhi sono come il temporale che tutto porta via e rimane solo il cielo terso e l’aria respirabile.
4. Esercizio 10 minuti – IL DIALOGO BOTTA E RISPOSTA, IMMEDESIMAZIONE
8.50-9.00
— Mantione — la Tedioni scorre il registro con gli occhi ma sa già che chiamerà me, lo fa per darmi l’illusione — vieni alla lavagna?
Ulderico Mantione è un ragazzo che è stato gravemente punito dalla vita, oltre ad avere un nome pesante come un macigno, lui stesso lo è. Ulderico è obeso dall’età di 7 anni, si ricorda ancora quel giorno perché il pediatra non aveva fatto tanti giri di parole con sua mamma: “suo figlio è un baule, la smetta di dargli da mangiare”. Ma sua mamma gli voleva bene, tutti gliene volevano in quella casa, da suo papà ai suoi zii, dai suoi nonni ai suoi vicini.
Ulderico era ingrassato dall’affetto per lui che valeva come mille abbracci, ma a che lui mancavano. Per trovare i pantaloni adatti compravano quelli da adulto e sebbene glieli accorciassero rimanevano sempre larghi come nasse, ci sarebbe entrato uno squalo per una delle sue gambe di stoffa.
Lui chiedeva a sua mamma di stringere un po’ anche sotto ma lei, pur provandoci, combinava sempre pasticci e una volta si era ritrovato come quel cantante di colore che era diventato bianco, con dei pantaloni così stretti, ma così stretti che non passavano le mutande.
— Mantione, iniziamo dalle cose semplici. —
Lui alla lavagna prendeva sempre tre, specie in matematica, perché doveva dar le spalle alla classe e sentiva ridere i suoi compagni. Ridevano perché i pantaloni gli salivano proprio all’interno cosce formando quella specie di capanna che quando camminava gli mandava fuori livello l’orlo.
Era un calvario la lavagna. Nei compiti prendeva sempre 8, ma all’orale erano 3, i 3 dei suoi pantaloni.
— Allora Mantione, per risultare di terzo grado, l’equazione in cui abbiamo il c1, come deve risultare? Uguale o diverso da zero — ti aiuto, anche.
— Ulderico sentiva lo zero e sentiva anche il diverso, sentiva che non poteva continuare a dire a sua mamma che andava via con i suoi amici alla sera quando invece si rifugiava dietro il campo sportivo aspettando che potesse essere abbastanza tardi per fare credere a sua mamma che si erano divertiti.
Era tardi per lui, anche quando era presto.
— Professoressa, mi metta 3 ma mi lasci andare a sedere.